La mia vita
Sono nata il 13 aprile del 1973. Sono un ariete e l’ho dimostrato in più di un occasione nella mia vita.
Una vita breve, purtroppo.
La mia infanzia è stata serena. Non ero amante dello studio quindi, non appena possibile, ho preferito lavorare. Prima in panetteria, poi alcuni anni come assistente alla poltrona presso un dentista per bambini, in seguito segretaria di un medico quindi proprietaria di un negozio di abbigliamento per bimbi.
Sfortunatamente per me, pochi mesi dopo aver rilevato il negozio ho scoperto di essere malata. Era il 2006. Da quel momento è iniziata una lunga battaglia contro il male che ha tentato più volte di strapparmi alla vita senza riuscirci.
Il mio tumore al seno è stato diagnosticato in ritardo sottostimando la gravità della malattia. Questo ha reso tutto più difficile perchè sin dal primo giorno sapevo che, nella mia situazione, non sarei mai potuta guarire ma soltanto tenere sotto controllo la progressione del male e sperare in una qualità della vita che fosse la migliore possibile.
Il tumore è un “ospite” subdolo, crudele. Se combatti con lui non sperare in un pareggio: o vinci o perdi.
Ho attraversato momenti di vera euforia quando gli esisti degli esami mostravano segnali positivi e momenti di sconforto e disperazione vera ogni volta che si scoprivano recidive. Ho subito molti interventi chirurgici, diversi cicli di chemioterapia e radioterapia, interminabili viaggi e soggiorni a Milano presso l’IEO e l’Humanitas dove sono ormai diventata di casa.
Mai mi sono persa d’animo. Ho sempre combattuto a muso duro il male e sinceramente ho speratato di potercela fare anche quest’ultima volta. Mi sbagliavo… dopo sei anni di lotta la “bestia” mi ha portato via in pochi mesi lasciando soli mio marito, i miei bimbi, la mia famiglia ed una montagna di amici.
Ma valeva la pena combattere. Questa lotta mi ha reso una persona migliore. Ho capito davvero cosa è importante nella vita.
Altre donne si ammaleranno. Altre donne dovranno lottare come ho fatto io. A voi grido con tutta la voce che ho in corpo che non bisogna mai mollare. La forza di volontà è una terapia così come lo sono i farmaci.
Spero che la mia storia possa essere di esempio per tutte quante voi state vivendo questo dramma.
Photogallery
Testimonianze
di Carla Migliardi:
“questo ciclo di chemio è più aggressivo. perderò i capelli, così li taglio più corti, in modo che i bambini si abituino a vedermi così”
Monica lotta contro un nemico subdolo ed inesorabile con il sorriso sulle labbra, la sua bellezza mi distrae dalla gravità della malattia, tanto che contro ogni logica mi convinco che la sconfiggerà anche questa volta, è così vitale che deve esserci un errore nei referti, per forza!
Quel taglio di capelli per me è stato la rivelazione della verità, uno di quei momenti nella vita in cui le parole non servono, così istintivamente, senza perdere tempo, così prezioso, invio un messaggio a Silvana, Margherita e Sabrina…facciamole una sorpresa, tagliamo i capelli anche noi per “accompagnarla” ogni giorno con il nostro affetto, come se quel taglio fosse emblema della nostra amicizia, un piccolissimo sacrificio condiviso insieme a lei, per non farla sentire sola lungo questo tratto del Sentiero, un segno distintivo che ci ha accomunato e ci ha fatto sentire “insieme” anche a distanza.
Ho assaggiato il fiele della malattia e l’incomprensibile senso di solitudine che si prova osservando la propria vita che muta rallentando fino a fermarsi, mentre quella del resto del mondo continua la sua rincorsa inesorabile, severa ed intenzionalmente distratta, come se quel fiele fosse pericolosamente contagioso!
Quel taglio, quel segno per me significava “Monica…rallento, mi fermo insieme a te, non preoccuparti non scappo”.Dopo aver visto la foto di noi quattro, mi ha chiamata, era così commossa al telefono, che a stento riusciva a mettere insieme le parole, rideva e piangeva come una bimba a cui hanno fatto il regalo che non osava chiedere…senza sapere che proprio lei era il nostro regalo!!
Da allora non ho più tagliato i capelli…per non perdere IL segno!
di Paolo Tavaroli – fotografo:
Mi chiesero di fotografare una giovane in abito da sposa per una simpatica e intraprendente wedding planner. Cominciò quasi per gioco e con semplicità: luce naturale, io, la ragazza e la responsabile dell’Atelier. Attrezzatura ridotta al minimo. Lasciai disegnare la luce e i risultati furono apprezzati. Riconoscemmo di esserci divertiti e che avevamo voglia di continuare. Ci appassionammo, fioccarono le idee. Crebbe il numero dei soggetti a ogni set. S’introdussero accorgimenti tecnici, luci artificiali aggiuntive. Si coinvolsero sempre più persone, alla ricerca di location particolari.
Fin dal primo scatto, un particolare ai margini distraeva e colpiva il mio occhio fotografico. Era più un punto luminoso, in realtà: come una luce particolare. Un lume fuori scena o laterale. Talvolta lo intravedevo dopo il set, altre a un’inaugurazione, alla visione dei risultati, o alla festa dopo una mostra.
No, attenzione: non è una storia misteriosa. Non siate precipitosi. Ho cinquantacinque anni e la parola “mistero” mi produce ancora un fastidioso moto d’intolleranza. A Lourdes mi è capitato un gruppo di donne che sosteneva di vedere nel sole un ritratto mariano. Pie donne, dalla fede più robusta della mia, ma io non ho visto nulla. E non sono tipo da vedere fantasmi.
Un giorno mi è stata presentata una giovane donna. L’ho messa a fuoco, al centro dell’inquadratura e mi sono reso conto che la luce proveniva da lei. Il centro d’interesse che attirava il mio sguardo era il suo sorriso e la sua spontanea carica affettiva. Empatia, simpatia, carisma e altri strani nomi sono stati inventati per descrivere quanto accade quando s’incontra una persona così, ma nessuno sa veramente dire come avvenga e di che si tratti. Seppi che Monica era stata ed era amica di Sabrina, il suo “braccio destro” nell’impresa di lanciare e gestire La Rosa di Tulle.
Venne anche il giorno in cui mi fu detto che Monica lottava con il cancro. Avevo già vissuto storie analoghe e quella luce mi divenne carissima. Mi sembrava impossibile tanta leggerezza unita a tanta forza d’animo. Come se mi si fosse chiesto di credere a un fenomeno paranormale. Eppure la luce continuava a entrare nel mio mirino. Disturbava i sistemi elettronici e rendeva superflua la visione. Avevi voglia di conoscerla meglio più che di fotografarla. Eppure è capitato a me essere l’ultimo a fotografarla.
Sabrina, deus ex machina delle nostre avventure fotografiche, organizzò una serie di scatti non troppo lontano dalla casa di Monica. Fu dei nostri nonostante le difficoltà fisiche intervenute. Il gruppo di lavoro, che si era arricchito di un favoloso parrucchiere e truccatore, si trovò a Verezzi. Monica entusiasta, malgrado camminasse a fatica, al braccio di Sabrina, ci accompagnò in ogni situazione, allegra e spiritosa.
Feci i primi scatti sotto le crude luci a piombo del sole ligure. Accadde di nuovo. Una luce laterale divina e gioiosa attraversò le immagini che furono speciali. Era seduta in un carruggio all’ombra e partecipava con suggerimenti e battute. Spronati, organizzammo situazioni da riprendere fino a sera. Si divertì molto, acquistando colore e forza. Passammo un bellissimo pomeriggio. Poi le fotografai insieme: Sabrina e Monica.
– Non mi fare brutta – Disse, sorridendo, mentre passava la porta del paese, sorretta da Sabrina.
Era impossibile imbruttirla, anche con i segni dell’improvviso, drammatico declino, imposto dall’inesorabile malattia. Un’immagine struggente.
Il marito Luca, i figli, Aurora e Guglielmo, dovranno affrontare un futuro imprevisto. Monica sarà loro compagna durante i difficili set della vita, perché questo tipo di luci speciali brilla per sempre. Non è una premonizione. Il paranormale non c’entra. Non si tratta di parole di circostanza. Io lo so. Mi è già capitato.
di Sabrina Zancanaro
Ho deciso che non mi mancherai.
Chi manca, lo dice la parola stessa lascia un vuoto, lascia una mancanza. La mancanza è qualcosa che toglie, tu invece hai mi hai dato cosi tanto che in questo momento il mio cuore è colmo.
Quello che farò sicuramente, invece, è non dimenticare. Non dimenticherò che tra le tante cose che mi hai insegnato quella che forse le racchiude tutte è sorridere sempre.
Chi ha vissuto con noi questi ultimi giorni non potrà scordare lo stato di grazia che abbiamo respirato a casa tua. Le persone che sono venute a salutarti hanno trovato ad accoglierli il tuo inguaribile , ottimista , meraviglioso sorriso.
Senza un lamento, senza rabbia, senza domande. Solo sorrisi. E tante risate.
E quando non è stato più possibile ridere insieme, dormivi. Ma dormivi sorridendo. Grazie di questo dono. La serenità nell’accettazione del proprio destino è un enorme regalo che pochi possono e sono in grado di fare a coloro che amano.
La tua famiglia e i tuoi amici hanno ricevuto cosi tanto da te che spero saremo in grado di portare nel nostro quotidiano almeno una piccola parte di questa tua grande eredità.
Da parte mia quello che mi hai dato non lo lascio scappare. Lo tengo stretto come un tesoro che porto dentro di me e tu che sei parte di questo tesoro, tu che sei preziosa come un tesoro, non scapperai più.
E quando il vuoto sarà così nero e intenso da far male, quando il dolore, sarà così denso da non riuscire a respirare, cercherò il tuo sorriso. E mi ricorderò cosa ti ho promesso…
di Gino Rapa – Fieui di Caruggi Albenga
Il mio incontro con Monica è stato casuale. Intrecciava coroncine di fiori in una manifestazione benefica. Non so se la nostra è stata un’amicizia, come tradizionalmente si intende: troppo breve, purtroppo, e un po’ superficiale, forse. Ma l’impronta che ha lasciato sul sentiero della mia vita è assai profonda. Probabilmente non conta la lunghezza del percorso condiviso o la durata del tempo di frequentazione, ma l’intensità che si riesce a trasmettere.
La vidi subito come il miglior esempio possibile di energia positiva: il suo entusiasmo era contagioso e comunicava gioia di vivere. Non sapevo allora della sua malattia. E forse mi sarebbe stato impossibile crederlo, tanta era la vitalità che sprigionava. Scoprii soltanto per caso che da tempo aveva trovato sulla sua strada un ostacolo troppo difficile da superare. Una sera un messaggio su facebook mi fece intuire qualcosa.
Tuttavia il vederla sempre serena, generosa, allegra mi convinceva di essermi sbagliato. In un momento di difficoltà affrontò con me l’argomento e al termine del colloquio tra i due lo sconfitto sembravo io.
Ricordo che le promisi di dedicarle il Concerto di Natale 2010 dei Fieui di caruggi, se si fosse ripresa e avesse potuto partecipare. E quella sera Monica fu in sala a regalarci ancora una volta il suo sorriso: uno dei doni più belli mai ricevuti.
Ecco: il sorriso di Monica! Una luce che non potrà spegnersi, che continuerà a illuminare il mio, i nostri sentieri. Perché Monica ha lasciato dopo di sé tanti buoni semi che non potranno che dare frutti sani e abbondanti: il suo esempio, l’altruismo, la sua famiglia, le sue splendide, vere amiche. In ognuno che l’ha conosciuta vive un po’ di lei e perciò quando ci si incontra la sua presenza è tangibile: ciascuno porta la sua preziosa tessera e il mosaico si ricompone. Ogni volta, per sempre.
di Dario Valeriani – Sindaco di Pietra Ligure
Il giorno della morte di Monica un giornalista mi chiese se volevo esprimere il mio stato d’animo di quel momento, in qualità di vice sindaco e soprattutto come amico, io riuscii solo a dire
“Era una ragazza straordinaria, che ha affrontato la malattia in modo sorprendente. Non ci sono aggettivi giusti per definire Monica. E’ stata un esempio per tutti, facendo capire davvero come si può affrontare la difficoltà. Andava a Milano autonomamente per la chemioterapia e tornava indietro. Non si è mai fatta abbattere da nulla, incoraggiando gli altri”.
“E’ un esempio encomiabile per chiunque l’ha conosciuta, anche nella comunità del Soccorso dove è stata, fra l’altro, un modello dal punto di vista cristiano. Questa perdita ci fa percepire la vita in modo diverso: “La sua casa in questi giorni era diventato un santuario, conforto per il marito e i genitori. E’ un dolore devastante. Monica ha offerto la sua sofferenza ai figli, al marito, alla sua famiglia. Anche le sue amiche non l’hanno mai abbandonata”.
Ora a distanza di giorni posso aggiungere che la sua morte mi ha mandato in crisi, ha messo a nudo la mia poca fede; la sua perdita l’ho percepita come un torto: soprattutto per i suoi meravigliosi bambini, per Luca, per i suoi esemplari e forti genitori, per i suoi parenti, ma anche per tutti noi suoi amici che avevano bisogno del suo sorriso, della sua positività, della sua forza, del suo : “ ..ma certo che ce la faccio,.. va bene, non ti preoccupare…vedrai che andrà tutto bene…”.
Lei trasmetteva speranza, forza : era capace di lottare con dignità, con grande dignità: tutti l’hanno definita “ la donna del sorriso “: è verissimo, era sempre sorridente, ma io aggiungerei che Monica era “la donna del cuore”, sì, per me lei era la donna del cuore perché lei faceva tutto con amore, anche nell’affrontare la malattia ci ha messo il sorriso, la determinazione, ma soprattutto amore e donazione.
Mi ricordo quando, con alcuni componenti dell’amministrazione comunale, disputammo una partita di calcio contro la squadra di “Striscia la Notizia” per raccogliere dei fondi per una bambina malata e lei, reduce da un ciclo di chemio, giocò con noi, realizzando anche un goal, come se avesse sempre giocato a calcio, invece era la prima volta che provava a dare dei calci ad un pallone. Lo fece come gesto d’amore nei confronti di quella bambina ammalata.
Sapeva mettersi in gioco, è stata un esempio di come affrontare la malattia; era capace di consolare gli altri che giustamente si preoccupavano del suo stato di salute. E’stato davvero un grande esempio per tutti noi che siamo pronti a lamentarci per un nonnulla. La sua forza d’animo, il suo donarsi, credo che abbia coinvolto anche il buon Dio: tutti speravamo nel miracolo, era troppo giusto che avvenisse….e, invece no. Lui la rivoluta con sé; i suoi bambini e suo marito avevano troppo bisogno di lei; eppure non c’è stato nulla da fare; tutti piangiamo la sua mancanza ma desidero sperare che il suo sacrificio non sia stato vano.
La donna del sorriso e dell’amore sarà per sempre nei nostri cuori e veglierà sulla sua famiglia per l’eternità.
di Sara Rodolao
La prima volta che ti ho vista, sfilavi in riva al mare vestita da sposa: un abbaglio bianco nel sottofondo scuro della notte.
Dal pubblico qualcuno gridava il tuo nome, seppi così che ti chiamavi Monica. Tu rispondevi agli applausi col sorriso, un sorriso largo che andava oltre il viso e ti illuminava d’una luce solo tua. Fu la prima volta che pensai: Dio com’è bella!
Poi ci ritrovammo davanti al profumo d’una pizza invitante, con le tue amiche del cuore, e lì germogliò in me un affetto e un’amicizia sincera nei tuoi riguardi. Volli averti vicina nel giorno in cui realizzavo un sogno coltivato da anni; dicesti si e con quel sorriso che tutti abbiamo amato hai rischiarato il mio sogno avverato.
Per caso venni a sapere della tua guerra contro il male, perché mai nessuno avrebbe potuto supporre la tua battaglia nel guardarti: sempre dolce e allegra, solare e positiva, il senso della Vita e dell’Amore irradiato intorno a te. Ricordo l’ultimo incontro nei caruggi, mentre abbellivi con nastri e scatole dorate il Natale di Albenga; mi hai abbracciata e nel farlo ti è sbocciato sulla faccia quel sorriso che ti rendeva irresistibile.
E venne anche il giorno che ho saputo che stavi combattendo l’ultima battaglia. Avrei voluto venire a trovarti, ma è subentrata in me una sorta di pudore, un profondo rispetto verso la tua sofferenza. Poi lo sapevi che sono una piangiona: non so nascondere le mie emozioni e pensavo che forse avrei potuto turbarti, mi sono sentita impotente e inadeguata.
Perdonami per questo.
E ti ho rivista all’Annunziata, ma non eri tu. Solo le tue belle mani, lunghe e affusolate col lo smalto rosso fuoco sulle unghie erano le tue. Solo quelle la mia mente ha registrato; il tuo viso di quel giorno non lo ricordo, perché voglio ricordare quello della sera in riva al mare, mentre sfilavi vestita da sposa col sorriso largo che andava oltre il viso e nel giungere agli occhi ti illuminava d’una luce solo tua; abbaglio bianco nel sottofondo scuro della notte, ed ho pensato:
Dio quanto è bella!
di Nadia Pesce
Anche per il suo Guglielmo era iniziata l’esperienza scolastica e lei, mamma, si accingeva ad ascoltare le informazioni che noi insegnanti avevamo da comunicare. C’erano tutti i genitori come accade sempre in prima elementare. Io parlavo rassicurando con lo sguardo soprattutto chi era alla prima esperienza scolastica, non certo Monica perché Aurora frequentava la classe quarta. Eppure i miei occhi incontravano sempre i suoi calamitati da quel sorriso gioioso.
Poi mi rivolgevo ad altri volti, ma una luce sembrava giungere da lei così forte che ne ero continuamente attratta in un’aura di incredibile serenità.
Quella luce l’accompagnava ovunque: fuori dal cancello della scuola, poi molto tempo dopo alla Comunione di Aurora con la fatica di stare in piedi, ma sempre serena, fino agli ultimi giorni. E a settembre quando tornerò in quell’aula so di ritrovare la luce del suo sorriso.Solo quello ricordo.
Arrivederci amica cara.